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Luca Barcellona aka Lord Bean X Groovisionary - Intervista







Foto di Sha Ribeiro

Luca Barcellona. Lord Bean. Bean One. Bugs Kubrick. Tanti nomi che raggruppano un solo talento, un'artista polivalente. Abile mc ed abilissimo writer, con il tempo Luca ha sviluppato uno stile unico in entrambe le arti appena citate: mi ha sempre impressionato ed appassionato per la lucidità e la formula con la quale sceglie di comunicare i propri pensieri e le proprie idee, in maniera non solo non convenzionale ma anche molto efficace ed originale. Sia su muro - e tutte le altre superfici sulle quali lavora - che al microfono, ha sempre dato il meglio di sé, tentando strade inesplorate e restando sempre genuino e senza filtri.




Al microfono, sotto gli pseudonimi di Lord Bean/Bugs Kubrick ha realizzato due lavori totali ed alcune collaborazioni con i migliori esponenti della penisola: il demo Lord Bean, pubblicato nel 1999, è il primo lavoro ufficiale e contiene tracce storiche come "Gli occhi della strada", "Sotto i bombardamenti" e "I veri criminali" (nessun brano è skippabile); tra i produttori troviamo Fritz da Cat - che sforna 6 beats dei 10 totali - Goedi, Intru, Esa e Dj Inesha. Quest'ultimo non produce effettivamente la base de "Il Compl8 del '78" ma, tramite cuts e beat jugglin della strumentale di "Militia" dei Gangstarr, offre un tappeto davvero pregevole sul quale viaggiare. Le tematiche principali riguardano la vita dell'artista milanese, caratterizzata profondamente dal writing, dalle esperienze ad esso legate e dall'ambiente di Milano e dintorni. Si aggiungono anche tante riflessioni e sentimenti di opposizione nei confronti dello stato di polizia, lasciando spazio anche ad uno sguardo critico della scena hip hop italiana di fine millennio.





Da ricordare di sicuro versi come:“Racconteranno ai figli dei dissing sui dischi/ e i figli negheranno di averli mai visti/ e penseranno come cazzo erano messi questi/ anch'io in effetti ho i calli nelle orecchie a furia di sentirti” (tratti da "Intro (Procto)" ed ancora attuale dopo 14 anni). Oppure:“E' legale fotterci e non viceversa/ e se gli chiedi spiegazioni spesso tergiversa/ loro la legge, noi rinchiusi nel gregge/ protetto dagli sbirri ma da loro chi ci protegge” ("I veri criminali", dove tra l'altro il beat è ripreso da "Interludio (Lordz of Vetra)", contenuto in Fritz da Cat). Da citare anche i pregevoli cuts di Dj Inesha in "On the run", dove sono riprese e scratchate nel ritornello citazioni storiche come: "Ma sono fiacchi e non li stiamo più a sentire" (Deda, "Tempo per l’azione"), "Fiacco mc levati di torno" (Gruff, "Mc scarso") e "Puoi non scassarci il cazzo a noi se non sai reggere il microfono" (Esa, "A testa alta").





6 anni di stop "forzato" portano Bean alla pubblicazione di Lingua Ferita nel 2005, imponente EP sotto tutti i punti di vista: metriche sempre migliori rispetto al precedente lavoro, carica emotiva davvero forte e comunicativa in ogni traccia, stile viscerale nello storytelling e rabbia che fuoriesce da tutti i pori. Una crescita notevole e fuori dal comune. Brani diversi rispetto ai canoni del rap italiano, infatti non troviamo sempre ritornelli e le strutture delle tracce sono davvero particolari ed "irregolari", impreziosite e completate da citazioni cinematografiche ("Satan's Sadist", "Il mostro di Dusseldorf", "Palombella Rossa") e strumentali lasciate scorrere in solo.









Riguardo il capitolo produzioni, stavolta Bean ha scelto di selezionare tutto oltreoceano, più precisamente diverse strumentali dalle produzioni di El-P (in totale 10), che caratterizzano dal primo all'ultimo secondo il lavoro, dando un tocco in più sia alle atmosfere create da Luca vocalmente che al viaggio nel complesso. Anche in questo EP l'odio per le ingiustizie dello stato e delle istituzioni è molto forte, e sono diverse le canzoni di rivalsa e ricerca della propria individualità ed indipendenza, soprattutto creativa: album costantemente esaltante, come nel caso di "Svegli davvero", in pratica una poesia realizzata dalla scrittrice Peggy Galante e recitata da Luca. Quasi sicuramente la traccia migliore di tutte.





Sin dall'inizio di Lingua Ferita, Bean ci spiega il perché del periodo di pausa al microfono, dalla traccia numero 1 - "Il tuo fottuto nome" - non perde nemmeno un secondo e punta il dito contro tutte quelle persone e finti artisti che hanno rovinato la cultura hip hop e l'espressione artistica in generale (ottimo approfondimento qui, ndr), contro la perdita della propria identità, della libertà di vivere come meglio si crede (vedasi la citazione sul finire del brano "Quale ordine", ripresa da "Che sta succedendo" di Lou X: "La ribellione è l’unica dignità dello schiavo!"). Fondamentalmente anche in questo album il quotidiano vero dell'artista fa da padrone, e tira fuori tutto il complesso emozionale ad esso relativo (“Scrivo di quel che respiro, in quel che respiro mi ispiro”). Esperienze vissute e descritte in prima persona, scelta espressiva che aiuta molto sul fronte della comunicazione con l'ascoltatore.







Si parlava di qualche altra pubblicazione - da solista - anche dopo il secondo lavoro, ma al momento non abbiamo ancora nulla nel player. Il progetto come Dublinerz (trio composto da Lord Bean, Bassi Maestro e Supa) ha dato vita nel 2008 ad un disco penso unico nel suo genere, almeno dal punto di vista della realizzazione: Low Cost Raiders è il succo dell'esperienza maturata in viaggi low cost che i tre hanno affrontato insieme, viaggiando per città come Istanbul e Dublino ad esempio. Speciale l'artwork realizzato da Luca per il disco.




Per quanto riguarda il capitolo collaborazioni, come accennato ad inizio articolo ne troviamo poche in totale, ma buone. Spiccano "Street opera", semplicemente un classico per il rap italiano (brano contenuto in Novecinquanta, secondo disco di Fritz da Cat come produttore), dove il connubio tra le liriche di Lord Bean e la base di Fritz è unico, specie per il fatto che va ad immortalare uno dei periodi migliori per entrambi gli artisti. Classico è la medesima ed unica parola utilizzabile per descrivere anche un'altra storica collaborazione, più recente rispetto alla prima: al fianco di Danno (Colle der Fomento), Lord Bean esalta la super strumentale di Mr.Phil, dando vita a "Piombo e fango" (contenuta in Guerra fra poveri, disco dello stesso produttore residente a Roma).




Avrete ben capito a questo punto che la scrittura è la passione numero 1 - in tutti i sensi - per Luca: nasce come writer, prima delle esperienze al microfono, ed è lo stesso tipo di espressione artistica che ancora oggi lo accompagna, e che con il tempo si è evoluta moltissimo. La calligrafia è attualmente il pane quotidiano dell'artista, "emersa" grazie agli anni di costante pratica e miglioramento artistico: Milano è stata vissuta come una sorta di enorme tela, sulla quale poter sfogare ogni pulsione creativa passatagli per la testa ("Questa città faceva schifo e l’ho riempita di tag"). Efficacissime le parole di Dee Mo, che descrive Luca così: "Luca Barcellona mi è stato presentato di recente, Bean lo conosco dalla prima metà degli anni '90".




Il percorso di Bean come writer è stato caratterizzato ed influenzato naturalmente anche da altre teste, tanti i collettivi dei quali faceva e fa parte, tra i quali cito a mani basse Lordz of Vetra: crew di certo nota agli appassionati di writing, in special modo a coloro che sin dalla metà dei '90 hanno seguito la scena europea. E Rebel Ink, composto attualmente da Bean, Marco Klefisch e Rae Martini, altro saldo punto di riferimento per il writing nostrano: grande trio, nel quale inizialmente era presente anche Francesca Gandolfi, che ha portato avanti sempre grandi progetti ed eventi, in aggiunta a live show da urlo in giro per l'Europa. Tutt'ora attivo.




Questo lato più urbano è sempre stato molto influente anche sulla musica prodotta, come affermato quando si parlava dei suoi dischi, che di riflesso non poteva far altro che descrivere tutte le esperienze vissute per strada e lungo i binari morti. Non solo, un riassunto prezioso del suo percorso artistico riguardante strettamente la scrittura è reperibile in Take Your Pleasure Seriousely, primo libro pubblicato da Luca. Edito per la Lazy Dog, rappresenta un immancabile testo per tutti gli amanti della scrittura, tramite il quale ripercorrere i passi di Luca Barcellona dagli albori sino ad oggi, passando per i primi pezzi sui treni dopo la scuola, sino ai lavori realizzati per i più svariati settori. Dai throw up e le tag sui muri alle tele, dalle t-shirt agli artwork per i dischi, oltre a tante altre opere. Da acquistare assolutamente. Nota di merito per la rilegatura del libro, una presentazione che lascia senza fiato, ed ancora una volta per i contenuti (è imprescindibile soffermarsi sull'introduzione di Dee Mo, dalla quale ho estrapolato le parole utilizzate sopra per descrivere l'evoluzione "da Bean a Luca Barcellona").




Dopo questa introduzione, non posso che lasciarvi all'intervista, un ulteriore approfondimento ulteriormente prezioso. Un infinito ringraziamento va a Luca per il suo contributo e per tutto ciò che ha fatto sino ad oggi, uno dei miei artisti preferiti in assoluto. Enjoy the reading.











INTERVISTA





1. Primo contatto in assoluto con la cultura Hip Hop (video musicali, tag, jam/eventi, film, musica, ecc.). 





1992, quando ho iniziato la scuola di grafica. C'erano dei writer che ad avercene adesso, ed era impossibile non farsi contagiare; pensandoci adesso, fummo l'ultima generazione che studiava grafica fatta a mano, quindi forse aiutava il fatto di avere sempre carta e marker davanti. Da lì usciva gente dei TDK, CKC, DCN, e molti di quelli che poi avrebbero formato la nostra crew dell'epoca, VDS. Uno comprava il vinile di Rapadopa o Sfida il Buio e lo passava a mille persone che lo consumavano nel walkman. I primi concerti hip hop li ho visti a 14 anni in Abruzzo, d'estate. Ero davvero ragazzino, e quasi non potevo passare le notti fuori, figurati. Me ne ricordo uno con Assalti, Lou X, Menti Criminali. Tramite un amico comune, passavo pomeriggi e serate con Lou X e Cuba, suo cugino, ricordo che stavano scrivendo i testi di A Volte Ritorno, e sapevamo a memoria Dal Basso, pazzesco. Lui aveva un'attitudine invidiabile, ascoltava "The hand of the dead body" di Scarface, impazziva per quel flow, infatti se ascolti "5 minuti di paura" è evidente. A Milano, al Leoncavallo, nella prima sede, vidi gli Isola Posse, e successivamente un concerto storico di SXM in Pergola. La presentazione di Fastidio di Kaos al Bataclan e di Zero Str3ss al nuovo Leo (imbattibile). Era impossibile non venire contagiati da tutte queste cose.





2. Come hai scelto gli pseudonimi di Lord Bean e Bugs Kubrick?





Il primo a ripensarci, lo avrei scelto meglio, se avessi capito di dovermelo portare fin'ora (!). Semplicemente Bean per le lettere, non sapevo neanche cosa volesse dire. Lord da Lordz of Vetra. Ci chiamavamo tutti "Basley", quindi scimmiottai un "Basley Kubrick", che diventò Bugs dopo che nel 2000 si parlava del fantomatico Millenium Bug. Mi piaceva il concetto di qualcosa che si insidiava in un computer e ne danneggiava il contenuto.





3. Che aria si respirava quando cominciasti nella scena italiana, e milanese nello specifico, dapprima da writer e poi anche da mc? Come sono cambiate entrambe ad oggi? 





Diverso di sicuro. Una gran voglia di emergere. A Milano poi (e ovunque?) credo ci fosse una quinta disciplina, che era quella di scazzare, che credo contasse più dei graffiti stessi. La scusa era quella del rispetto, per chissà quale supremazia poi. Comunque se volevi fare sul serio, le prendevi anche in senso metaforico, fino a quando la qualità di quello che facevi veniva riconosciuta. Chi non aveva troppo talento, compensava con la tenacia, la quantità e la costanza, facendo il pezzo più in alto o nel posto più pericoloso. Comunque pochi pensavano di farne qualcosa, tipo trasformare il writing in un lavoro, nella vita. Ora non è né meglio né peggio, semplicemente diverso. Dire che i '90 erano la golden age italiana è solo una cosa da nostalgici.





4. Lord Bean è il titolo del tuo primo demo, profondamente caratterizzato dalla vita in strada e dal tuo quotidiano: quanto è stata profonda l’influenza e la vicinanza di artisti come Esa, Polare, Fritz e gli altri membri di Mixmen? Parlaci di questo progetto, da come scegliesti le strumentali fino alle collaborazioni, passando per i tempi di realizzazione ed il modus operandi seguito.





Esa e Polare furono per me come dei veri e propri fratelli maggiori, era un privilegio averli conosciuti ed imparare da loro. Credo di dovergli davvero molto. Squottavo letteralmente a casa loro per giorni, prima a Varese e poi a Milano, nella "maison des artists" come la chiamava Esa. Sai, da ragazzino fare parte di Mixmen era il massimo per me, io e Fritz continuavamo a dire che Esa era il nostro presidente, da lì venne il suo nickname "El Prez". I ricordi più assurdi li ho di avvenimenti legati a quella casa. Incredibili freestyle killer di Esa nelle notti interminabili, alcoliche e fumose, che passavo alternatamente con personaggi come Sean, Kaos, Deda, Gruff, Skizo. Poi da lì passavano TUTTI, e intendo davvero TUTTI. Ho parecchi ricordi random, fantastici. Torch, Tony L, Rival ai tempi de La Connessione. Nesli e Fabri, che ci facevano sentire il demo di Sindrome in cassetta, col fumo che si tagliava a fette. Melda & Merda che discutono del loro video, poi mai realizzato credo, con Kaos che voleva farsi riprendere in un'ampolla ricolma di lingue di bue e scarafaggi. Inesha che screcciava per 8-10 ore al giorno, e a un certo punto mi diceva "Luca ti prego usciamo, portami fuori di qui!", Ciri e Sean che si tendevano degli agguati pericolosissimi, e il giorno dopo li vedevi fasciati e doloranti. Phase II abito lì per un bel po', e mi ci trovavo spesso a discutere di tag e scrittura, magari la mattina presto facendo colazione. Scriveva di continuo lettere che a volte finivano su Aelle e faceva quelle illustrazioni a biro che trovi sulle cover di Alien Army e Co Flow. C'era il Polmone d'Acciaio, uno studio di 2mx2m dove registrammo vari pezzi, tra cui "Bombardamenti a tappeto", in completa distorsione (in tutti i sensi). Ricordo che un giorno stava girando un pezzo nello stereo, e Kaos e Deda non avevano capito che fossi io a rappare "Gli occhi della strada", pensavano fosse uno di Bologna... e non ebbi il coraggio di dire "Hey, quello sono io!". Conobbi Fritz parecchi anni prima, passavo quasi tutti i giorni con lui per un lungo periodo, da quando stava producendo il suo primo disco e vidi nascere con lui tutti i pezzi davanti al 950, fino all'album dopo. Anche da lui ho imparato davvero tanto, era un talento vero e proprio, e in più ci divertivamo molto. Mi spronò a fare sul mio primo demo e ovviamente mi aiutò parecchio. Lo registrammo da Intru (ex OTR), e alcuni dei beat erano suoi e di Goedi, bellissimi, anche se la qualità audio era poi quella che era, sopratutto su cassetta (!). I featuring vennero da sé, Joe e Inoki erano a Milano spesso, e li tirai in mezzo a farne uno assieme. Poi c'era Davo, che era un mio idolo personale soprattutto per il demo Sulle soglie della follia, che faceva davvero ridere, con un sapore Wu Tang ruvidissimo. Ape e i Trilamda, che erano amici che all'epoca frequentavo molto. Non sono mai stato un vero e proprio rapper. Scrivevo quando ne avevo voglia e occasione, molti featuring restarono incompiuti, altri inediti, come quello su Gente Guasta, e forse è meglio così. Ripensandoci ora avrei potuto fare molte più cose con tutte queste persone, ma è andata come è andata. Di "scrivere", in un modo o nell'altro, non ho mai smesso.





5. Fritz da Cat ha prodotto quasi tutto il tuo primo demo, come mai hai deciso invece per Lingua Ferita di riprendere proprio i beat di El-P, e non magari quelli di un produttore che conoscevi di persona? In base a quale criterio li hai selezionati? È stato difficile adattarsi a quelle strutture “irregolari”, a volte senza ritornelli? Il processo di stesura dei testi è stato portato avanti durante l'ascolto delle strumentali o le liriche sono state adattate solo in fase di registrazione? Dove hai portato avanti tutto il lavoro? Quanto tempo hai impiegato?





Feci sentire a Fritz Lingua Ferita appena finito, nel 2005, e ricordo che gli piacque ma era stranito del fatto che nessuno ne sapesse nulla. Era appena uscito anche Mr. Simpatia, e me lo fece sentire il giorno stesso. Eravamo tutti straniti dai mille dissing di Fabri, e dal suo cambiamento radicale. Io all'epoca lavoravo in un negozio di dischi di provincia, non avevo ancora, diciamo così, trovato la mia via. Non frequentavo quasi più gente del giro hip hop, avevo un momento di grande rifiuto delle cose vecchie che avevo fatto, con cui oggi invece ho decisamente fatto pace. Infatti nel disco c'è solo Rae, con cui all'epoca facevo la performance Rebel Ink: capisci che ascoltando in auto i vecchi Sunz of Man e Smoothe da Hustler, vennero fuori quei pezzi lì. Di rap ascoltavo pochissimo, a parte Fantastic Damage e altre robe Def Jux e Co Flow a ripetizione, così presi un vecchio testo e chiesi ad un amico di registrarlo su una strumentale di El P, così per provare come stava. Da lì cominciai a scrivere ogni giorno, e in circa tre mesi avevo tutti i pezzi, che trasudavano tutta la rabbia e la frustrazione dell'epoca, e l'immediatezza con cui li scrissi. Un tizio mi scrisse una mail lunghissima lamentandosi di "Quale ordine", dicendomi che suo padre era un carabiniere rispettabile. La girai al Danno per fargliela leggere da quanto ero stupito da quelle reazioni. Quello che pochi notarono è che le strofe erano adattate alle strutture dei beat, ad esempio, ne "Il caimano", scritta un anno prima del film di Moretti, c'è il sample di un neonato che ride ed il testo parla di "comunisti che mangiano i bambini". A volte anche i testi vengono dalle liriche originali ("rock-rock b-boy!" etc). In fin dei conti posso considerarlo una specie di tributo, non so se è un vero e proprio disco. Di sicuro non lo feci per gli altri, ma solo perché ne avevo fisiologicamente bisogno. Lo misi in free download, e non mi risulta fosse usuale all'epoca. La grafica del sito la fecero Marco Klefisch e Giorgio di Salvo, non a caso, le persone che frequentavo più assiduamente. Le foto erano di Fakso. Di una cosa sono molto contento: quando lo feci sentire alle persone che non masticavano hip hop, lo apprezzavano, forse perché mi sono imposto di usare pochissimo linguaggio settoriale, di non parlare di rap. Quindi alla gente arrivavano prima le storie e l'esigenza di raccontarle che il filtro della musica. A volte lo riascolto e non lo sento invecchiare troppo, mi piace ancora. Trasuda urgenza, che è la cosa più importante.








Foto di Sha Ribeiro

6. Cosa della scena americana, ed in caso anche di quella italiana, ti ha fatto allontanare per 6 anni dal rap? E’ stata una scelta voluta, ponderata, o si è trattato di un allontanamento naturale? La tua opinione è cambiata ad oggi, magari grazie alla scoperta di nuovi artisti? Se si, quali?





Mah, ricordo che spensi quella musica, quella americana in primis, quando cominciai a capirne meglio i testi, e contemporaneamente cominciai a collezionare "musica vera", parecchia roba vecchia italiana, e musica brasiliana, di cui oggi ho una discreta collezione, sopratutto dopo essere stato in Brasile. Realizzai che ad essere troppo concentrato sull'hip hop mi stavo perdendo molte cose. Sai, poi devi fare un po' pace con te stesso, ora devo dire che riascolto le vecchie cose con serenità, quasi come se a scriverle fosse stato un altro. Ma a distanza di 3-4 anni non le potevo davvero più sentire. Sai, poi è difficile sostenere sempre che l'hip hop abbia la sua dignità eccetera, ad un certo punto frequenti persone che non sanno neanche cosa sia il rap, e va bene così, per me è stato rigenerante allontanarmi da un ambiente così autoreferenziale e scoprire ed approfondire altre cose, come ad esempio che mestiere volessi fare. Ho tentato per molto tempo di tenere separata la mia professione da quello che avevo fatto nell'hip hop; ora invece non mi interessa più molto, va bene così. Certo che se posto un mio nuovo lettering e uno lo commenta con una citazione di Lord Bean, non sono io ad essere fuori luogo. Oggi ci sono sempre più sottogeneri, anche troppi, e compro anche molto rap, Doom, Madlib, El P & Killer Mike, Kendrick e Tyler, The Creator...trovo sempre delle cose interessanti. Di italiani bravi ce ne sono parecchi, mi piacciono Ghemon, Ensi, Salmo. Alcuni invece sono bravissimi ma mi annoiano i testi, alcuni sembrano dei compitini, altri sembrano avere poco da dire. Una delle cose italiane che mi ha colpito di più è Post Scripta di Kaos. Dopo che mi ha spiegato come imposta le metriche di ogni battuta, ho realizzato che nessuno scrive come lui.





7. Molto forti sono l'odio e la rabbia che esprimi in Lingua Ferita, riflessioni e storytelling fanno trapelare ampiamente il tuo parere sulle forze dell'ordine e sul sistema che ci circonda. Ancora oggi sei in sintonia con quello che dicesti nelle canzoni?





Beh, pensano tutti che ce l'avessi con gli sbirri perché ero un writer. Invece io non ce l'ho con le forze dell'ordine in quanto tali, ma con certi abusi da parte loro, e del potere in generale. I casi di Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi sono casi vergognosi nella storia della nostra giustizia, e poi mi interessa raccontare quelli minori ma ugualmente significativi vissuti in prima persona, come ho fatto in "Quale ordine".





8. "Svegli Davvero": porti avanti la lettura di un testo di Peggy Galante, poesia pura. A cosa è dovuta questa scelta? Cosa ti ha colpito particolarmente di questa scrittrice e ti ha spinto a collaborarci? Pensi che un binomio del genere debba essere riproposto anche da altri artisti, o la vedi un'iniziativa fine a sé stessa e senza futuro? 





9. Cosa ti hanno trasmesso di così particolare film come "Il mostro di Dusseldorf", "Palombella rossa" o "Satan's sadist..", dai quali hai deciso di estrapolare citazioni inserite in varie tracce di Lingua Ferita?





“Peggy” (Gloria) era la mia ragazza di allora, quello era il suo pseudonimo, lei scriveva molto bene, oggi lo fa di professione. Le chiesi di scrivere delle cose per me e le recitai, volevo che fosse una sorta di poetry, anche perché Lingua ferita lo avevo pensato come una sorta di lavoro da ascoltare tutto d'un fiato, con una consequenzialità, per questo c'erano così tanti spezzoni di film uniti ai pezzi, e non come skit. "Palombella Rossa" poi è uno dei miei film preferiti, certi dialoghi che spuntano dal nulla sono fenomenali. Riguardo alla scrittura, penso sia stato sperimentato ancora poco nel rap, ci sono molti rapper senza capacità di interpretazione che però scrivono molto bene, che forse potrebbero scrivere per altri con le qualità opposte. Non c'è scritto da nessuna parte che si debba essere dei cantautori.





10. Per entrambi i lavori (demo e Lingua Ferita) come hai scelto le collaborazioni?





Erano le persone che frequentavo in quel momento, amici con qui condividevo la musica e le serate. Con chi potevo parlare di "Soldiers of Darkness" dei Sunz of Men se non con Rae?!!





11. Lordz of Vetra: da chi era composto il collettivo, origine del nome e progetti portati avanti.





Era una mega-crew (!!!) formata da GR, RNS, Hekto, Panda ed altri "jolly". Fritz ci frequentava e quindi trovi quel nome anche nei suoi dischi dell'e0poca, su 950 c'è un’outline di Mind, nel video di "La Famiglia" ci siamo tutti, con riprese in metro e alla stazione di Cadorna FN, ritrovo nostro e dei writer di fine anni '90. Eravamo in più di 20 persone credo. E più che progetti, si facevano dei gran treni. E una fanzine autoprodotta che si chiamava First Class. Un bel periodo, quello.





12. Che importanza ha rivestito l'esperienza con Supa e Bassi nel disco come Dublinerz? Da cosa è partito il progetto? Parlacene a 360 gradi se ti va, dal concepimento al disco in copia fisica, passando per le grafiche (fighissime).





Conosco Supa e Bax da parecchi anni, un rapporto sopratutto di amicizia; dopo Lingua Ferita non avevo davvero voglia di prendermi troppo sul serio con la musica, volevo fare una cosa più fresca e leggera, e scrissi tutto in pochissimo tempo. Abbiamo gusti abbastanza diversi su molte cose, che però spesso si incontrano. Attorno al 2007 ci trovammo un po' di volte assieme e decidemmo di partire per un po' di viaggi low lost, di cui il primo fu a Dublino. Durante il viaggio abbiamo iniziato a scrivere dei pezzi, in realtà molto meno goliardici di quello che era il mood da caserma che regnava nelle stanze d'albergo, ma erano cose scritte di getto che raccontavano quello che vedevamo e facevamo. Bassi ci ha radunati in studio e abbiamo registrato in tre sessioni tutto il disco, riuscendo persino a fare una posse track, "Tutti Quanti RMX" dove rappavano un sacco di persone. Feci la grafica ispirandomi all'estetica da pub irlandese, di cui il logo completamente a mano. All'interno del cd c'erano alcuni scatti con i memorabilia dei viaggi, polaroid, biglietti delle corse di levrieri, etc.. Di lì a poco sarebbero arrivati figli e famiglie e infatti adesso sarebbe un po' più complicato da rifare. Per me è naturale fare musica con le persone in cui ti trovi in un preciso momento, è stato un bel modo di fissare quel periodo, quasi una foto ricordo.





13. Nel demo Lord Bean annunciasti l'uscita di un Ep dal titolo Scena Vera, che però non è mai stato pubblicato. È stato "sostitutito" da Lingua Ferita? Inoltre, in un'intervista ad hotmc affermavi la futura uscita di Lingua Ferita remixato (principalmente da Mace e Mr Phil) e l'intenzione di collaborare con i Colle Der Fomento: hai ancora intenzione di far uscire/produrre questi lavori?





Sono successe molte cose che hanno dirottato alcuni progetti, alcuni pezzi scritti per l'EP sono diventati collaborazioni con altri, proprio come per i dischi di Phil e la compilation di Mace, mentre non volli più remixare Lingua Ferita perché mi resi conto era nato su quei beat e lì doveva restare. In realtà ho sempre scritto, e sempre poco. Con i Colle invece ho cominciato finalmente a collaborare. Coi nostri tempi biblici, chiaro.





14. Progetti futuri al microfono? Ho notato che hai pubblicato scatti in studio con Night Skinny, e ultimamente hai collaborato con Bassi nel suo ultimo disco. Possiamo almeno sperare in una nuova uscita?





Con Bassi è stato un piacere, mi ha dato un beat molto bello, ho scritto e registrato al volo, mi piace il suo approccio fresco alle cose, in studio poi è davvero un pro. Non mi piace però, come tanti scribacchiano in rete, sentir parlare di "ritorno". E a chi malignerà che faccio musica ora che il rap è di moda, beh quella è la porta. Io l'ho sempre fatto perché mi piaceva, anche quando i media non ci cagavano di striscio. Con Night Skinny sto collaborando su più fronti, già dal disco precedente in cui c'era un pezzo con Mastino e due grafiche mie. Lui lavora molto sui pezzi, rielabora fino a quando non è convinto, infatti i beat sono impeccabili alla fine. A volte partiamo assieme dai campioni e dai ritornelli, poi decidiamo con chi condividere il pezzo. Le cose nuove sono molto varie, e molto curate, sentirai a breve spero. 





15. Live show: per Lingua Ferita non ti sei esibito mai dal vivo, come mai? A cos'è dovuta questa scelta? Prima del 2005 ti è mai capitato di farlo? Se si, ti manca quel tipo di esperienza? 





Come ti ho detto, ho fatto quel disco per semplice esigenza personale, ne avevo voglia, punto. Ma non mi interessava tutto quello che gli gravitava attorno, tanto meno di fare live o di guadagnarci qualcosa. In passato ho suonato quando ce n'è stata l'occasione, ma il palco non è il primo dei miei pensieri. Non ricordo quante mail per i live ho ricevuto all'epoca, purtroppo non mi andava proprio di suonare. Recentemente abbiamo fatto una data a Firenze coi Good Old Boys per i 10 anni di Gold, è stato fantastico. Tutti presi bene, la gente che sapeva i miei pezzi a memoria, nonché vere e proprie lezioni di rap da Kaos e dai Colle, che in quanto a esperienza insomma... Ma l'ho vissuta come una fuga dalla routine del mio lavoro, un vero divertimento. Invece suonare è un mestiere, lo devi fare sempre.





16. Writing, lettering, calligrafia: come vivono le une in rapporto alle altre nel campo della creatività professionale? E nella tua personale esperienza?




Il writing, inteso come treni e bombing, è stato un grande amore ma decisamente passato. Tuttavia mi è ancora utile, ad esempio quando disegno degli incastri di lettere per loghi o artwork calligrafici, penso che ci sia davvero poca differenza rispetto a quando passavo le ore a trovare gli incastri per un pezzo. Lo stesso vale per la scrittura su grandi dimensioni. Di personale credo rimanga il senso di competizione, la spinta a far sempre meglio, a cambiare strada per stupire gli avversari, come nei graffiti, può essere una motivazione forte.





17. Parlaci della calligrafia nel tuo percorso: evoluzione estrema del writing, che incorpora le ben precise leggi del lettering, o riscoperta a ritroso dell'origine e della struttura della lettera?





Il writer è di per se un'amante del lettering. Io ho cercato di far passare l'idea che nel writing c'è un enorme potenziale che può essere applicato a diversi campi del lettering, creando un ponte fra queste due discipline. Non è stato facile soprattutto quando ho iniziato, dove la parola calligrafia suonava come un'assurdità nel boom della grafica digitale. Quando ho cominciato il mio percorso, ho capito che avrei potuto avere dei risultati solo studiando seriamente la scrittura, la sua storia e i suoi stili per poter poi cominciare a restituire una mia visione, costruita sulle basi solide di conoscenze tipografiche e di lettering, di stampa e incisione. Non pensavo a farne un mestiere, di lavoro facevo altro, la tenevo come una passione, facendo piccoli lavori su committenza ogni tanto. Per molto tempo mi sono allenato su modelli classici ed esempi dei "maestri", confrontando il mio lavoro con il loro, seguendo corsi e viaggiando per incontrare delle persone che per me sono dei mostri sacri, e che a molti non dicono assolutamente nulla. L'ho fatto per capire se potevo permettermi finalmente di dire la mia. Solo ora, dopo più di dieci anni, comincio ad acquisire una libertà, forse necessaria dopo tutta questa disciplina, mi metto al tavolo da disegno con il pennello cinese in mano e l'inchiostro, e vengono fuori lettering inaspettati, con delle loro regole ma con elementi tipici del tagging e del writing, e spesso li apprezzano anche persone della generazione precedente alla mia, gli stessi magari che nel 1999, quando mostravo i miei primi lavori, erano così restii a vederci qualcosa di buono. Molti stanno seguendo ora questa strada, senza però approfondire e rendersi conto dei propri limiti: alcuni fanno corsi di due giorni e poi fanno un sito con video e cose mediocri e scopiazzate autodefinendosi "calligrafi". Questo mi dispiace molto, perché non vedo quel rispetto e quella ricerca che ci vorrebbe. Non c'entra l'età, quando ero pischello e facevo un'outline, sapevo chi aveva fatto un loop o una freccia o un doppio 3D prima di me, tutti lo sapevano e se ti appropriavi di qualcosa di non tuo, venivi crossato subito. A Los Angeles ho imparato molto da Chaz e ho imparato e osservato da lui il lettering Cholo; poi sono stato a San Francisco e Santa Cruz, a spulciare centinaia di poster di psichedelia anni '60 e '70, andando negli archivi mostruosi dei collezionisti. Sono tornato con molti input diversi, e ne ho cominciato a tirare fuori uno stile che fonde le lettere chicane con la psichedelia di Griffin e Moscoso, ed a forme tipiche dei graffiti. Il poster disegnato per Good Old Boys ne è un esempio. Non credo che ci sia molto da inventare di sana pianta; la creatività invece, per come la penso io, è un 'insieme di conoscenza ed esperienze personali, che convergono per dare la propria visione di qualcosa che è già esiste.





18. Rebel Ink in origine doveva essere una rivista dedicata al raw writing, ovvero una raccolta di tag, flop e throw-up realizzati da artisti - esclusivamente - italiani, poi purtroppo archiviata. Parlaci di questa iniziativa, e se ci sarà la possibilità di proporla fisicamente un giorno.





Sei bene informato. Ma quando volevo fare quella rivista, il livello di bombing non era ancora decente in Italia. Quando lo fu, altre fanzine se ne occuparono. Così mantenni il nome per la performance...





19. Da cosa è scaturita l'idea di esibirti e formare un collettivo insieme a Klefisch e Francesca Gandolfi prima, e Rae Martini poi? Quali sono gli aspetti umani ed artistici che apprezzi in queste persone, e che ti hanno spinto a formare un gruppo?





Iniziammo tutti e quattro assieme. A parte Francesca, che era già calligrafa, io, marco (Klefisch) e Rae eravamo stanchi dell'esperienza dei graffiti, ma soprattutto contrariati dal fenomeno della "street art", che stava diventando una pagliacciata, un gran contenitore in cui tanti writer si riciclavano. Noi volevamo trasformare il nostro background di writer in qualcosa di più sperimentale e sopratutto con un approccio più serio e genuino, anche sbagliando se era il caso. Quindi cominciammo a fare le performance Rebel Ink dal vivo, e quella era l'unica dimensione in cui aveva veramente senso. Il momento in cui i nostri pensieri diventavano linee e lettere sulla parete, improvvisando al momento, come in una jam session di jazz. Poi, a parte tutto, io non ho mai riso tanto come nelle trasferte di Rebel Ink. Ma roba che avremmo un futuro come comici davvero.





20. Con gli altri membri della Rebel Ink porti avanti live show di writing e lettering, accompagnati da musica, anch'essa a volte suonata live da band: c'è un tipo di musica che preferisci particolarmente e che magari ti fornisce maggiore ispirazione? Sarà ancora fattibile proporre un vostro show o gli impegni individuali negano ogni possibilità in partenza? 





Fu molto bello avere I Conflix (Sean e Zippo) al Bloom, e Bungalow Zen al Link. Non sempre la musica si fondeva alla perfezione, ma spesso noi la seguivamo, era un'esperienza mistica scrivere sugli scratch di Tay e Skizo. L'ultimo lavoro lo abbiamo fatto in una galleria a Praga, è venuto molto bene ma è davvero difficile far conciliare impegni di vita e lavoro, abbiamo strade abbastanza diverse.





21. Lo chiediamo a tutti: street-art e writing, come vedi il rapporto fra le due? E a livello personale?





I graffiti sono un'infezione della società, scoppiano che tu lo voglia o no. La street art è la sua cipria.







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